Calligrafia, quando la scrittura diventa arte: Capitolo II
Proseguendo il viaggio alla scoperta delle calligrafie del passato, ora è tempo di parlare della scrittura carolina e beneventana, due varianti medievali fortemente legate ai territori in cui si diffusero. La prima era infatti ampiamente in uso nei territori franchi tra il Reno e la Loira, mentre la seconda era principalmente diffusa nell’Italia meridionale e nella costa dalmata d’influenza barese.
La scrittura carolina: origini e storia
La scrittura carolina o, più precisamente, minuscola carolina nasce durante l’epoca della cosiddetta Rinascita Carolingia, un importante movimento culturale promosso da Carlo Magno tra l’VIII e il XI secolo. Data la sua origine in territorio franco, assunse anche la denominazione di francisca e, in seguito, venne definita antiqua dagli studiosi umanisti, che la contrapposero alla più moderna scrittura gotica, diffusasi a partire dal XV secolo. Quanto alla sua origine, i paleografi optano per due tesi distinte: una franco-occidentale, secondo cui la scrittura carolina sarebbe nata all’interno del monastero di San Martino di Tours, e l’altra franco-orientale che vede la diffusione di questo stile calligrafico a partire dalla scuola palatina di Aquisgrana.
Al di là delle considerazioni paleografiche, per comprendere l’ampia diffusione della scrittura carolina in tutta Europa, è importante sottolineare il ruolo decisivo svolto dalla corte di Carlo Magno e dal suo lungimirante programma di promozione degli studi e delle scuole. Nel 789, fu un capitolare emanato dal Re dei Franchi a raccomandare l’istituzione di scuole per fanciulli all’interno di vescovadi e monasteri, nonché di prestare estrema cura e attenzione nella copia dei libri sacri che dovevano essere scritti senza errori e in modo chiaro. La produzione di manoscritti in minuscola carolina fu infatti assai ampia, tanto che si contano oltre 7000 codici del IX secolo giunti intatti fino ai giorni nostri, a dispetto dei circa 2000 risalenti invece ai secoli precedenti. La fiorente attività amanuense testimonia inoltre l’accresciuta alfabetizzazione della popolazione del tempo, dovuta in gran parte proprio alla promozione dell’educazione scolastica. Questa, però, non è l’unica ragione del successo di questa calligrafia, alla quale vanno infatti aggiunti anche i numerosi scriptoria presenti nelle abbazie, in grado di produrre libri non solo per uso interno, ma anche destinati ad altri centri culturali. La possibilità di avere uno stile di scrittura uniforme, facilmente leggibile e ortograficamente corretto consentiva infatti ai libri di viaggiare anche lontano dal luogo in cui erano stati redatti, aprendo nuovi orizzonti di studio e di ricerca da un monastero all’altro.
Caratteristiche e varianti locali della scrittura carolina
I monaci benedettini delle abbazie francesi trasformarono la minuscola corsiva in un nuovo stile calligrafico caratterizzato da una forma regolare e armonica, con linee curve e sinuose. Ogni carattere risultava più preciso e accurato rispetto alle calligrafie del passato e alcune lettere, come la “a” e la “t”, vennero semplificate per distinguerle più facilmente. La calligrafia carolina riscosse in breve tempo molto successo, non solo per il mutato contesto socio-culturale in cui si sviluppò, ma anche grazie alle sue caratteristiche stilistiche che la rendevano facilmente replicabile e leggibile. Gli amanuensi furono infatti in grado di velocizzare il processo di trascrizione dei testi classici e liturgici, dando un notevole impulso alla diffusione della cultura classica in epoca altomedievale.
Una delle varianti locali più conosciute è quella legata all’uso della scrittura carolina a Roma e nel Lazio, in cui, sulla scia della maiuscola onciale diffusa in quel territorio nei secoli precedenti, prese piede una tipizzazione definita abitualmente minuscola romanesca, contraddistinta da un’inclinazione a destra più marcata e lettere più grandi e squadrate.
La scrittura beneventana
Spostandosi dalla Francia all’Italia meridionale, si scopre la scrittura beneventana, diffusasi in questo territorio tra l’VIII e il XIII secolo e in particolare nel Ducato di Benevento, dove raggiunse la sua maggiore espansione. Secondo molti studiosi, la sua origine viene fatta risalire all’Abbazia benedettina di Montecassino, in cui si consolidò per poi diffondersi a macchia d’olio negli altri centri benedettini del sud Italia e della costa dalmata.
Le tipizzazioni barese e cassinese
Già nel X secolo, la calligrafia beneventana presentava caratteristiche ben definite, come un tratteggio fluido, lettere tondeggianti e numerose legature, per esempio, tra le lettere “e” ed “r” o “r” e “i”. Inoltre, bisogna sottolineare che la beneventana possedeva molti elementi in comune con la scrittura visigotica e merovingica, probabilmente perché tutte e tre condividono la comune origine della scrittura romana.
A partire dal XI secolo, si diffuse la tipizzazione barese della scrittura beneventana contraddistinta da lettere più grandi e arrotondate, aste più piccole e un tratto più sottile e uniforme. Questa variante calligrafica fu ampiamente utilizzata anche in Dalmazia, in cui erano presenti numerosi monasteri benedettini fino al XIII secolo. Poco più a nord di Bari, precisamente a Montecassino, ci fu una forte ripresa dell’attività amanuense che portò all’affermazione della tipizzazione cassinese che, al contrario della barese, presentava tratti molto spessi verso sinistra, ma molto sottili verso destra, nonché tratti di collegamento orizzontali che davano l’impressione che le parole fossero attraversate da un’unica grande linea.
Il declino della scrittura beneventana comincia con l’arrivo dei Normanni e la diffusione delle abbazie cistercensi nell’Italia meridionale, che lasciarono spazio alla calligrafia tardo-carolina e gotica. Tra il XII e il XIII secolo, quando iniziarono a circolare i primi testi in volgare, ma erano ancora numerosi quelli in latino, questi ultimi erano prevalentemente scritti in beneventana, mentre i libri in volgare erano scritti in tardo-carolina o gotica. Tutto ciò a dimostrazione del fatto che la scrittura beneventana era vincolata alla tradizione classica e ritenuta inadatta ad essere la fonte d’espressione della nuova lingua del popolo.
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